da Il Fatto Quotidiano, 7/3/2011
di Luigi D'Elia e Nicola Piccinini
Immaginate un servizio di psicoterapia e counseling psicologico di qualità aperto a tutti, indipendentemente dalle possibilità di reddito. Un servizio dove potete rivolgervi anche se siete squattrinati, dove chi può paga e chi non può non paga. È pensabile che in Italia comincino ad esistere servizi del genere o è solo un sogno?
Ruggero Piperno, psichiatra e psicoterapeuta di Opera don Calabria a Roma, è responsabile dell’Ambulatorio Sociale di Psicoterapia, un centro clinico il cui modello sta destando molto interesse e che, da alcuni anni sembra realizzare il difficile equilibrio tra impegno sociale, competenza e sostenibilità economica.
Ci racconta Piperno: “Qui da noi ognuno paga secondo le sue possibilità, il range di pagamento va da zero euro alla cifra che i pazienti possono pagare (i non paganti sono il 20%). Alcune persone facoltose possono pagare un onorario di mercato e il ricavato va al fondo comune che consente ai non abbienti di sostenere la terapia”. Si comprende subito che il profitto non è un obiettivo di questo centro, che tra l’altro non percepisce convenzioni pubbliche.
Un’altra particolarità del centro sta nel fatto che non c’è selezione dei pazienti in base al tipo di problema. Quando poi le situazioni sono particolarmente complesse dal punto di vista sociale o psicopatologico, aggiunge Piperno, “si lavora in collaborazione con le assistenti sociali, i servizi di salute mentale, i servizi materno infantili, o le scuole”.
Dunque nessuna selezione dell’utenza né per censo, né per gravità della patologia; si fa formazione e ricerca; la qualità professionale è garantita da riunioni settimanali, supervisioni gratuite, seminari interni, convegni scientifici. E tutto questo senza sovvenzioni. Il nostro scetticismo è palpabile. Sospira il dott. Piperno, che è abituato, e ci spiega pazientemente che da un lato chi sceglie di lavorare da loro ovviamente condivide alcuni principi etico-professionali ed accetta alcuni vincoli, come il gettone di 15 euro netti (uguale per tutti sia che l’utente paghi che non paghi); dall’altro lato l’organizzazione, attraverso una gestione oculata, prevede alcuni correttivi come l’uso gratuito delle sedi e dell’amministrazione dell’Opera don Calabria. Risultato: “alla fine del 2010 il bilancio è stato quasi in pareggio e, anche se con qualche fatica, la sostenibilità continua ad essere garantita”.
Già immaginiamo le prevedibili reazioni di chi si è formato con lo studio privato e il lettino nella testa: ma in tal modo non avviene una svendita del valore professionale, non si finisce per inquinare la qualità delle prestazioni con annessa concorrenza sleale? Sorride ancora Ruggero Piperno, che lavora dal 1973 nei servizi pubblici, prima a L’Aquila e poi a Roma dove, con Fausto Antonucci, aprì il primo centro di Salute Mentale della città, e questo modo privatistico d’intendere la professione proprio non gli appartiene: “Condivido in parte queste preoccupazioni, considerate però che da noi lavora lo psicoterapeuta di lungo corso come lo specializzando (senza distinzioni di appartenenza e di tipo di specializzazione) e tutti accettano di dedicare un monte ore limitato del proprio tempo professionale. Certo, il pagamento non è molto, ma ad esempio molto di più di quanto prendono gli psicologi nelle cooperative per fare un lavoro meno professionale. Evidentemente il profitto non è l’unico criterio che dà senso ad una professione e forse il senso di utilità sociale di quanto si sta facendo, la qualità dello stare con, dell’esserci veramente, per e con l’altro, e il superamento dell’autoreferenzialità del proprio modello terapeutico attraverso la discussione dei casi con colleghi di diversa appartenenza, sono tutti ‘valori aggiunti’ che chi lavora con noi può trovare qui e non altrove”.
Ma perché i servizi del privato-sociale come questo si rendono così necessari oggi? Le statistiche a tal proposito parlano chiaro: in Italia, circa il 20-25% (la Commissione Europea parla del 27,4%) della popolazione adulta presenta ogni anno una criticità psicologica tale da dover richiedere l’aiuto specialistico. Parliamo di un ventaglio ampissimo di problematiche, dai problemi scolastici, relazioni genitori-figli, problemi di coppie e famiglie, passando da situazioni oramai molto comuni come depressione e attacchi di panico, i disturbi psicosomatici, le patologie dipendenti-compulsive come il gioco d’azzardo, fino a situazioni ancora più severe.
In questo quadro, dove sono i servizi pubblici? In questi tempi di progressivo smantellamento del welfare, tranne rare enclave efficienti, sono letteralmente travolti da problemi di budget, di organici insufficienti, di culture istituzionali talora inadeguate, e riescono a malapena ad occuparsi solo di una parte delle situazioni più gravi. Altro che diritto alla salute.
Nella giungla dell’offerta terapeutica, il modello proposto da Piperno mostra di avere un ulteriore pregio: l’accessibilita. Un elemento decisivo, se si considera “l’estrema facilità della nostra presa in carico: rapidità della risposta, adattabilità alle diverse necessità cliniche, assegnazione dei casi in considerazione delle caratteristiche personali e professionali del terapeuta, possibilità di contatto con invianti, servizi e altri partecipanti al progetto terapeutico. Tutto questo sarebbe impensabile in un’organizzazione verticistica e burocratica, priva dei principi fondativi che ci caratterizzano”.
Interessante il nesso tra gestione economica, organizzazione e qualità etico-professionale… in fondo niente di nuovo, solo il coraggio di applicare coerentemente certi principi, a fronte di un privato che rimane per molti fuori portata (e per certi versi confusivo per l’utenza). Mentre il privato-sociale professionale e di qualità scarseggia ed esita a farsi avanti nonostante le enormi risorse professionali esistenti in Italia. I modelli organizzativi e le culture istituzionali esemplari (come questa esperienza-pilota che abbiamo appena riportato) non riescono ancora ad ispirare e coinvolgere i nostri colleghi, forse troppo disincantati o troppo distratti dalla precarietà che colpisce da sempre le professioni legate al welfare come la nostra, o viceversa dalla affannosa ricerca del posto al sole.
Certo, sarebbe il caso che tutti i “dott. Piperno” coraggiosi e coscienziosi (e ce ne sono) ricevessero, oltre ai complimenti, anche convenzioni pubbliche. Forse il diritto alla salute psicologica (e non solo) dei cittadini sarebbe più tutelato.