da USI Ricerca
di Rocco Tritto
Con il parere n. 23580 del 22 maggio 2013, espresso in risposta a un quesito posto dall’Inps, la Funzione Pubblica ha, di fatto, bloccato nella pubblica amministrazione le assunzioni di personale nei confronti del quale la legge (n. 68/99) prevede particolari tutele in materia di occupazione.
Si tratta delle c.d. “categorie protette”, tra le quali sono compresi invalidi civili, soggetti con minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali, portatori di handicap, con una percentuale di invalidità non inferiore al 46%. Ed, inoltre, invalidi del lavoro, in misura non inferiore al 34%, non vedenti, non udenti, invalidi di guerra, invalidi civili di guerra, invalidi per servizio.
Le argomentazioni uscite da Palazzo Vidoni non appaiono condivisibili, in quanto subordinano le eventuali assunzioni alla disponibilità di organico, con la conseguenza che “l’obbligo – scrive la Funzione Pubblica – di coprire le quote di riserva per le categorie protette, con l’eccezione della disciplina relativa ai centralinisti non vedenti, è sospeso fintanto che le amministrazioni pubbliche non abbiano posti disponibili nella dotazione organica e, a fortiori ratione (a maggior ragione, ndr), laddove presentino posizioni soprannumerarie”.
Ora, atteso che uno dei tanti decreti emanati dal non compianto governo Monti, in particolare il n. 95 del 6 luglio 2012, convertito in legge 135/2012, ha stabilito che le dotazioni organiche degli enti pubblici, fino alla emanazione dei provvedimenti di riduzione, sono rappresentate dal numero dei posti coperti alla data del 7 luglio 2012, ne consegue che di posti vacanti, in pratica, non c’è e non ci sarà per il futuro nemmeno l’ombra.
Ma la legge speciale n. 68/99 ha una finalità ben precisa, che è quella di riservare ai soggetti meritevoli di tutela occupazionale una percentuale di posti in ragione del numero dei lavoratori occupati e non della dotazione organica.
Di fronte al parere della Funzione Pubblica che, c’è da scommettere, verrà supinamente recepito dall’intera pubblica amministrazione, è auspicabile un intervento non solo delle tante associazioni che tutelano i diritti delle “categorie protette” ma anche del Parlamento e, soprattutto, del ministro del Welfare.