di Ruggero Piperno
Il corpo differisce dalla persona per via dell'anima. L'anima di cui sto parlando corrisponde al mondo interno, alla soggettività, al senso di sé, se poi il divino ci mette lo zampino è cosa troppo difficile per la mia comprensione. L'anima non è per sua natura vanitosa, ma vorrebbe essere riconosciuta senza chiederlo, riconoscimento che nell'epoca attuale stenta ad arrivare. Una riprova è che parole come amicizia, fratellanza, amore, vengono considerare desuete, ridicole o espressione esse stesse di debolezza. Senza anima la società tende a desertificarsi, si prosciuga il senso di appartenenza che nasce dalla condivisione di ideali, il senso di sicurezza che nasce dalla la diffusione della solidarietà, il senso di giustizia che nasce dalle pari opportunità.
È quindi doloroso ritrovare oggi l'anima in uno stato di abbandono, per merito anche di coloro che più di altri dovrebbero sostenerla, medici, insegnanti, operatori delle professioni di aiuto e perfino preti, che a volte la cercano più in cielo che in terra, e psichiatri che scambiano le neuroscienze per il corpo. La famiglia rimane il contenitore emotivo più diffuso ma è fragile ed isolata, le grandi istituzioni, scuola, sanità, giustizia, annaspano nel gestire gli aspetti specifici del proprio mandato e non riescono neanche minimamente a porsi il problema dell'anima di coloro verso i quali hanno degli obblighi istituzionali e questo le allontana dalla compassione e dal'empatia che dovrebbero accompagnare la cura, la giustizia, l'insegnamento. Le cure possono essere eccellenti, ma il prendersi cura, il comprendere lo spaesamento di chiunque vada incontro a una malattia, entri in un pronto soccorso, in un reparto, in una sala operatoria, in un tribunale, in un carcere o sia oggetto di discriminazione in una scuola, è praticamente inesistente.
Questa premessa è necessaria per capire il retroterra di una cura chiamata psicoterapia, così complessa da rimanere misteriosa anche agli addetti ai lavori. Penso dunque che qualunque sia il motivo che spinge una persona a chiedere una psicoterapia, (da un problema psicopatologico, a un conflitto familiare, da uno stress o un trauma ad una non accettazione di se stessi), dietro ci sia sempre un senso di solitudine, di ricerca intima di vicinanza affettiva, di fame di riconoscimento, che ogni essere umano dovrebbe trovare nel proprio ambiente. Da qualche tempo ci troviamo di fronte a un particolare fenomeno: da una parte la sempre maggiore difficoltà a mettersi autenticamente in contatto con se stessi e con i propri simili, una sorta di progressiva aridità della vena intersoggettiva sociale, dall'altra il fiorire, in ambito psicoterapeutico, proprio del concetto d'intersoggettività, visto come la capacità del terapeuta e del paziente di condividere ed esplicitare reciproci stati soggettivi della mente.
Attenzione! Il pericolo per la psicoterapia è di accettare che un malessere sociale diffuso trovi rimedio in una pratica sanitaria specifica. Il pericolo per la società è di delegare alla psicoterapia una funzione che dovrebbe essere parte integrante della cultura di tutto il pianeta: il riconoscimento, l'accettazione e l'ascolto di un’altra persona.