di Ruggero Piperno
“Nonno giochiamo ai Pirati?”. “E va bene ma solo dieci minuti, poi devo andare! Cominciamo – dico io – questo pupazzo è un galeone pieno di tesori e questa scatola è una nave pirata, si avvicina al galeone e dopo un’aspra battaglia si pappa tutto il bottino. “Ora dobbiamo nasconderlo – dice lei – mettiamolo in questa grotta (sotto il tavolo)”. I pirati ripartono per abbordare altri galeoni, ma mia nipote (5 anni e mezzo) chiede al capitano di poter rimanere a guardia del tesoro. All’improvviso una piccola grande tragedia. I pirati di un’altra barca scoprono la grotta, vedono che il tesoro è poco custodito e lo rubano senza fatica.
Mia nipote, come avesse perso la dimensione del gioco, cambia espressione e chiede con apprensione: “Ma il capitano, quando torna, che mi dirà?”. “Ti attaccherà al pennone più alto senza darti né acqua né cibo per una settimana”. “No, non mi piace questo gioco, non lo voglio più fare”. “Ma guarda che stiamo scherzando, è un gioco, e poi non si può sempre vincere”. “No, non mi va, non gioco”. Corro ai rimedi: “Va bene, allora prendi questo pennarello che è un cannone, e se qualcuno si avvicina, tiri una cannonata per spaventarlo”. “Questo mi piace, dammi due pennarelli”. Resa potente dai pennarelli/cannone mia nipote sbaraglia tutti i pirati nemici. “Ora facciamo – dico io – che un altro pirata si cala dalla montagna (il tavolo con la tovaglia che pende), tu non lo vedi perché stai guardando verso il mare, il ladro entra piano piano e ruba una corona piena di pietre preziose”. “No, non mi va! Poi il capitano che mi dice?” “Ma sei fissata con questo capitano, ti sgrida solo un pochino”. “No, mi ha stufato questo gioco”. “Ma insomma si può perdere almeno un po’!”. “E va bene!”. “Poffarbacco! – fa il capitano quando torna rivolgendosi alla sentinella del bottino – come mai ti ha sorpresa?” “Perché il ladro era molto furbo e ha nascosto la corona in una carta bianca per non farmela riconoscere”. ” Per punizione – continua il capitano – andrai tu stessa a ricercare la corona”.
Appare sollevata, le punizioni, se giuste, alleviano i sensi di colpa e permettono di riparare. Il bottino si accumula ad ogni scorribanda, fin quando domando: “Ora che ci facciamo con tutto questo tesoro?”. “Non lo so – fa lei stupita – come se il derubare fosse il fine ultimo dei pirati”. “Troppo facile, devi avere desideri, se no è inutile accumulare tesori”. “Mi compro un’altra nave per derubare altri galeoni”. “Ma così stiamo al punto di prima”. “E allora dillo te” – dice lei indispettita! “Io mi comprerei una casa in montagna perché con l’età l’umidità mi fa venire i reumatismi e mi sono stufato di stare sul mare”. “Allora io mi compro Hello Kitty”. “Può essere un’idea, ma i pirati sono dieci e devi esprimere un desiderio per ciascuno”. “Ma è troppo difficile, ne ho già detti tanti”. “Non mi sembra. Guarda che trovare desideri è molto importante! Facciamo così, tu ci pensi e domani me li dici”. “E va bene – dice lei rassegnata – ma pensaci anche tu!”.
Il suo suggerimento è fecondo, penso al potere della fantasia nel rimodellare la nostra realtà interna, alle difficili vicissitudini fra tutto quello che riusciamo a tesaurizzare e alle possibili modalità di trasformarlo e utilizzarlo. Mi viene in mente il “barbone” con il quale avevo parlato la mattina stessa, che l’estrema povertà, voluta e temuta, rende libero e prigioniero allo stesso tempo. Penso che il nostro gioco è diventato spontaneamente un esercizio sulla frustrazione e sui desideri, e che possa avere un potere trasformativo.
Riporto allora una buona iniziativa, una giornata di scambio e confronto dal titolo: Gioco e narrazioni nella psicoterapia con i bambini che il gruppo dell’Ambulatorio Sociale di Psicoterapia, che si occupa di età evolutiva all’Opera don Calabria, ha organizzato per il 21 Marzo 2014. La giornata è aperta a tutti e, come per tutti i giochi seri, è gratuita.
da Superando
Ovvero un profilo professionale in grado di accompagnare e monitorare l’inserimento delle persone con disabilità psichica e intellettiva nei vari contesti lavorativi: è questa una delle proposte più innovative emerse durante un incontro organizzato dall’Opera Don Calabria di Roma e dalla Comunità Capitolina di Capodarco, mirato in particolare a fotografare la situazione del settore nel Lazio
«Il percorso dell’integrazione lavorativa è ancora molto irto di ostacoli e ingabbiato tra numerose maglie burocratiche e vincoli normativi». Lo ha dichiarato Daniela Gizzi della Comunità Capodarco di Roma, aprendo l’incontro denominato È tempo di partecipazione, organizzato dalla stessa Comunità Capodarco, insieme all’Opera Don Calabria, per discutere il delicato tema dell’inclusione sociale e lavorativa delle persone con disabilità psichiche e intellettive (se ne legga nel nostro giornale anche la presentazione). «Le norme – ha aggiunto Gizzi – non possono restringere le opportunità, semmai devono favorirle».
Obiettivo principale dell’iniziativa è stato sostanzialmente quello di proporre possibili soluzioni al bisogno di liberazione e di riscatto di persone realmente condannate al margine della società e forzatamente relegate all’istituzionalizzazione, specie dopo l’assolvimento dell’obbligo scolastico. Soltanto a Roma, per citare un dato, le persone con disabilità che frequentano le scuole secondarie sono 5.426 e 1.000 quelle che ogni anno terminano gli studi superiori, «ma fuori dai cancelli – come sottolineano dalla Comunità Capodarco – c’è solo il buio!».
«Molte famiglie – ha dichiarato durante l’incontro Fausto Giancaterina dell’Opera Don Calabria – si affidano alla sorte, alla parola buona di un conoscente, perché non esiste un progetto programmato e coordinato di integrazione sociale e di inserimento lavorativo per i propri figli». Nello specifico del Lazio, infatti, manca proprio un sostegno e un organismo di coordinamento e monitoraggio dei percorsi di inserimento lavorativo, siano essi riferiti al collocamento obbligatorio oppure ai tirocini; mancano in pratica i SIL (Servizi Integrazione Lavorativa), nonostante esista una Legge Regionale che ne promuove la diffusione sul territorio, che dovrebbero appunto sostenere l’integrazione lavorativa, facilitando l’assunzione di un ruolo occupazionale, in stretta collaborazione con i Centri per l’Impiego, le ASL e i Servizi Sociali Territoriali.
«Mentre ad esempio nel Veneto – ha aggiunto Giancaterina – i SIL esistono ormai dal 2001, nella nostra Regione dobbiamo accontentarci di qualche esperienza positiva».
Ma il problema del Lazio è ancora più articolato, come ha sostenuto Augusto Battaglia, già promotore della Legge 68/99 sul diritto al lavoro delle persone con disabilità, richiamando una canzone di Vasco Rossi che dice «qui non arrivano ordini…», e alludendo quindi alla mancanza di politiche di controllo, rigore, verifica e promozione di una società e di una cultura integrata e rispettosa della dignità delle persone disabili.
Battaglia ha citato poi alcune sintomatiche esperienze imprenditoriali, a cominciare da quelle dell’AMA [raccolta dei rifiuti a Roma, N.d.R.] e dell’ATAC [Agenzia del Trasporto Autoferrotranviario del Comune di Roma, N.d.R.], che hanno scoperture in organico di persone con disabilità risalenti al 2010, per non parlare delle ASL, che hanno posti vacanti per 250 unità. «Gli Enti Pubblici – ha affermato Battaglia – possono fare molto, a cominciare dai controlli sulla reale applicazione della Legge 68/99 da parte delle imprese fornitrici di beni e servizi che abbiano i requisiti previsti dalla Legge stessa; e si possono prevedere nei bandi delle clausole, cosiddette “sociali”, previste dallo stesso codice degli appalti, per cui vanno valorizzate le imprese che integrano, che accolgono persone con disabilità».
Per un lavoro, dunque, che si pone oggi come sfida, come opportunità di autorealizzazione, per una piena autonomia psicologica e sociale a livello individuale, in contesti di normalità relazionale e affettiva, Rita Cutini, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Roma, ha auspicato «un vero e proprio cambiamento di mentalità», invitando tutti «a una cultura nuova, più responsabile, più sensibile». Ma uno dei momenti probabilmente più interessanti dell’intero incontro è emerso quasi in conclusione, con la proposta delle organizzazioni promotrici dell’incontro riguardante l’istituzione di una figura di “mediatore lavorativo”, un profilo professionale, cioè, in grado di accompagnare e monitorare l’inserimento delle persone con disabilità psichica e intellettiva in contesti lavorativi. Si tratterebbe infatti di una scelta del tutto innovativa, che porterebbe la Regione Lazio ad essere addirittura tra le prime in Europa a dotarsene.
Da Superando
di Luca Attanasio
Infatti, specie quando si parla di disabilità complesse (intellettive e/o psichiatriche), servono anche passaggi graduali, che facciano “imparare a lavorare” le persone, in tempi e con sostegni adeguati. Ne sono convinte l’Opera Don Calabria e la Comunità Capodarco di Roma, già promotrici nella Capitale del FORUM – Disabilità-Formazione-Lavoro, che durante un incontro del 27 novembre presenteranno due proposte operative sulla materia
«Il lavoro – sottolineano i promotori dell’Incontro con gli Amministratori di Roma Capitale per condividere nuove opportunità di inclusione sociale per le persone con disabilità, in programma per mercoledì 27 novembre a Roma e denominato È tempo di partecipazione - rappresenta per chiunque sostentamento, dignità, realizzazione del sé. Per le persone con disabilità, oltre a tutto ciò, l’impiego significa una restituzione di storia personale e una riconsegna dell’individuo alla sua comunità, con benefiche conseguenze nella strutturazione della sua identità ed effetti terapeutici indubbi. Qualsiasi statistica dimostra infatti che, se inseriti nel giusto contesto, i disabili sono una risorsa reale per le aziende, non un peso, in quanto a produttività, puntualità, attaccamento al lavoro, onestà. Eppure, secondo i dati Istat più recenti, i disabili in età lavorativa occupati in Italia sono meno del 18%. Se poi la persona da occupare ha difficoltà cognitive o psichiche, si scende addirittura all’1,5%».
Perché dunque realizzare inserimenti lavorativi per persone con disabilità è in genere così difficile, e per quelle con disabilità intellettiva addirittura proibitivo? Perché si parla con sempre maggiore frequenza di fallimento di politiche di inclusione, piuttosto che interrogarsi sul perché di tale insuccesso?
A tali quesiti, l’Opera Don Calabria di Roma – che nel 2012, insieme alla Comunità Capodarco ha dato vita nella Capitale al FORUM – Disabilità-Formazione-Lavoro, cui aderiscono decine di associazioni, enti, rappresentanze sindacali e professionisti del settore sociale e sanitario – ritiene si debba rispondere non soltanto con le leggi – per altro meritorie, in Italia, pur se spesso eluse – ma anche con passaggi graduali, che facciano “imparare a lavorare”, in tempi e con sostegni adeguati, soprattutto nel delicato campo dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità complessa (intellettiva e/o psichiatrica).
«Ci sono persone – spiegano infatti dall’Opera Don Calabria – che fanno fatica a tenere il passo, e che se catapultate in contesti lavorativi senza adeguate risorse, non possono che fallire. Non è detto, però, che tali persone, non possano sorprenderci. Un pensiero lungo su di loro rivelerebbe scenari inattesi di cambiamento e grandi benefìci per la comunità tutta».
Durante l’incontro del 27 novembre, quindi (Centro Convegni FILO Opera Don Calabria di Roma, Via Soria, 13, ore 9-13), la stessa Opera Don Calabria e la Comunità Capodarco intendono presentare due concrete proposte operative, vale a dire una normativa regionale per attivare progetti di inclusione sociale in ambiente lavorativo per persone con disabilità complessa e l’istituzione della figura professionale del “mediatore dell’inclusione lavorativa”.
Alla presenza degli assessori del Comune di Roma Rita Cutini (Politiche di Sostegno Sociale, Sussidiarietà e Promozione della Salute) e Daniele Ozzimo (Politiche del Lavoro e della Formazione Professionale, della Casa e dell’Emergenza Abitativa), introdurrà i lavori fratel Giuseppe Brunelli, direttore dell’Opera Don Calabria, ed è previsto l’intervento di Erica Battaglia, presidente della Commissione Politiche Sociali del Comune di Roma, Luigi Politano, presidente della Comunità di Capodarco di Roma, Dino Barlaam, presidente della FISH Lazio (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e Augusto Battaglia, già promotore della Legge 68/99 sul diritto al lavoro delle persone con disabilità.
da Tribuna Economica
In un contesto economico altamente negativo quale quello attuale esistono tipologie di candidati che le aziende non riescono a trovare. È il caso delle persone appartenenti alle Categorie Protette.
Uno studio condotto da SCRPD (l’ufficio per i diritti dei portatori di handicap delle Nazioni Unite) rivela che nei paesi industrializzati il livello di disoccupazione di persone diversamente abili raggiunge il 50-70%. In Italia, anche se mancano stime recenti, si parla di oltre l’80% tanto che secondo dati della CGIL ci sarebbero oltre 750.000 persone disabili iscritte alle liste di collocamento obbligatorio.Secondo i dati forniti da ILO – l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro – il non impiego dei portatori di handicap fa perdere tra l’1% e il 7% del Pil mondiale. Con l’intento di fare chiarezza su un tema tanto delicato quanto attuale, Page Personnel, multinazionale inglese leader nella ricerca e selezione di figure impiegatizie dal livello junior fino al middle management, ha presentato l’e-book “Categorie Protette, un grande potenziale inespresso”, disponibile già gratuitamente oggi sul sito http://www.pagepersonnel.it/ Selezionare con successo! un candidato appartenente alle categorie protette“Selezionare una risorsa appartenente alle categorie protette – afferma Francesca Contardi, amministratore delegato di Page Personnel – può essere estremamente complicato. Queste difficoltà possono essere legate ai cambiamenti normativi che regolano gli inserimenti in azienda oppure essere specifiche del settore di appartenenza dell’impresa o alle sue caratteristiche. A questo, inoltre, si aggiunge il fatto paradossale per certi punti di vista che molti candidati preferiscano non dire in fase di colloquio o di candidatura di appartenere alle categorie protette per paura, probabilmente, di perdere un’opportunità di lavoro”. Indipendentemente dalla tipologia di mansione e/o azienda, è fondamentale sottolineare che l’ingrediente principale per un processo di selezione di successo, che si risolva, cioè, in una situazione soddisfacente e vantaggiosa sia per il candidato che per l’azienda, è uno solo: la flessi! bilità.“Ai clienti che chiedono a Page Personnel di selezionare un candidato – continua Francesca Contardi – suggeriamo sempre di non pensare, erroneamente, che un lavoratore appartenente alle categorie protette debba essere investito di minor responsabilità o possa essere una risorsa di minor valore per l’azienda. Al contrario, capita spessissimo che le grandi difficoltà che queste persone hanno dovuto affrontare nella loro vita le abbiano rese più mature e più stabili a livello emotivo. Il lavoro è in molti casi per una persona disabile un perno fondamentale dell’integrazione sociale e perciò, proprio al lavoro, questi candidati possono decidere di dirigere gran parte delle proprie energie”. Inserire un candidato appartenente alle categorie protette in azienda L’inserimento di un nuovo dipendente è di per sé un processo sempre complesso, poiché la persona dovrà interagire con numerosi colleghi, comprendere e far sue le procedure aziendali, modellar! e il proprio carattere perché si adatti al contesto in cui si verrà a trovare. Questo è ovviamente ancor più vero nel caso dell’inserimento di una categoria protetta. E’ per questo che è di fondamentale importanza innanzitutto analizzare quale può essere il team, e ancor prima il manager, che meglio potrà accogliere e valorizzare una risorsa con esigenze speciali. Di fatto per rispetto alla privacy il datore di lavoro non potrà, a meno che il dipendente non dia espressamente diverso parere, palesare ai futuri colleghi che il nuovo assunto appartiene ad una categoria protetta. Esistono molti casi per altro in cui la disabilità potrebbe non essere per nulla evidente: pensiamo alle disabilità psichiche o mentali, al diabete o a chi ha avuto un tumore. In queste situazioni potrebbe in generale non essere troppo semplice per un collega comprendere un alto numero di assenze dovute a problemi di salute o più bassi standard prestazionali. E’ tuttavia verosimile (e con! sigliabile) che sia informato della situazione il manager a cui riporta la categoria protetta. Questa figura dovrà essere coinvolta nella fase di recruitment prima e in quella di valutazione dopo. Per un buon inserimento occorrerà scegliere un manager con particolari doti umane, che sappia essere esigente ma al contempo flessibile, autorevole ma pragmatico. Un costante aumento di richieste, un settore che non conosce crisi. Il permanere di una situazione di crisi ha spinto molte imprese italiane - che non sono nelle condizioni di investire in nuovo personale – ad orientarsi verso la selezione di una risorsa in categoria protetta. Questa scelta ha una duplice valenza: da un lato l’azienda riesce ad adempiere agli obblighi di legge e dall’altro a coprire una necessità aziendale. Non meno importanti, infine, gli effetti della riforma del lavoro che ha reso più stringenti le basi di computo ed aumentato, di fatto, il numero di dipendenti che le aziende medio-grandi devon! o inserire.
Secondo i giudici il nostro Paese non ha adottato tutte le misure necessarie: “Porre rimedio al più presto”. Gli Stati membri devono prevedere l'obbligo per i datori di lavoro di sistemare i locali, adattare le attrezzature e ritmi di lavoro e ripartire i compiti
L’Italia non ha adottato tutte le misure necessarie per un adeguato inserimento professionale dei disabili nel mondo del lavoro. L’accusa è della Corte di giustizia europea che invita a porre il nostro Paese a porre rimedio alla situazione al più presto. Per la Corte, l’Italia “è venuta meno agli obblighi” derivanti dal diritto comunitario a causa di un recepimento incompleto e non adeguato di quanto previsto dalla direttiva varata alla fine del 2000 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Una norma con la quale è stato stabilito un quadro generale di riferimento per la lotta alla discriminazioni delle persone diversamente abili.
I giudici europei hanno in sostanza accolto i rilievi mossi all’Italia dalla Commissione Ue nella procedura d’infrazione conclusasi con il deferimento alla Corte di giustizia del nostro Paese poiché ha ritenuto insufficienti le garanzie e le agevolazioni previste a favore dei disabili in materia di occupazione dalla normativa italiana. In particolare, secondo Bruxelles, le norme nazionali non riguardano tutti i disabili, tutti i datori di lavoro e tutti i diversi aspetti del rapporto di lavoro. Inoltre, l’attuazione dei provvedimenti legislativi italiani è stata affidata all’adozione di misure ulteriori da parte delle autorità locali o alla conclusione di apposite convenzioni tra queste e i datori di lavoro e pertanto non conferisce ai disabili diritti azionabili direttamente in giudizio.
La Corte ha ora stabilito che gli Stati membri devono prevedere l’obbligo, per i datori di lavoro, di adottare provvedimenti efficaci e pratici (sistemando i locali, adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro o la ripartizione dei compiti) in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere a un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione, senza tuttavia imporre al datore di lavoro un onere sproporzionato.
Dopo aver esaminato le varie misure adottate dall’Italia per l’inserimento professionale dei disabili la Corte ha concluso che queste misure, anche se valutate nel loro complesso, non impongono a tutti i datori di lavoro l’adozione di provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a favore di tutti i disabili, che riguardino i diversi aspetti delle condizioni di lavoro e consentano loro di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione.