Rassegna stampa

Per cambiare le politiche sulla disabilità del Lazio

Sono quanto mai significativi il titolo e il sottotitolo del convegno in programma per il 14 giugno a Roma (“Dal supermercato delle prestazioni al budget della salute. Ovvero: da pazienti/assistiti a coproduttori del proprio bene-essere”), con il quale ci si propone di lanciare una serie di concrete proposte per le politiche sulla disabilità nel Lazio, in linea con i princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità

Interverrà anche il nuovo sindaco di Roma Ignazio Marino, al convegno in programma per venerdì 14 giugno nella Capitale (Sala Protomoteca in Campidoglio, ore 9-14), denominato Dal supermercato delle prestazioni al budget di salute. Ovvero: da pazienti/assistiti a coproduttori del proprio bene-essere. Una proposta di cambiamento delle politiche per la disabilità nel Lazio. L’iniziativa è promossa dall’Opera don Calabria di Roma, con la collaborazione del FORUM – Disabilità-Formazione-Lavoro, organizzazione voluta dalla stessa Opera Don Calabria, insieme alla Comunità di Capodarco, alla quale aderiscono associazioni, enti, rappresentanze sindacali e numerosi professionisti del settore sociale e sanitario, notata recentemente anche sulle pagine del nostro giornale, per i messaggi inviati rispettivamente “Al futuro Presidente della Regione Lazio” e “Al futuro Sindaco di Roma”.

«Con questo convegno – spiegano gli organizzatori – intendiamo proporre un vero cambiamento delle politiche regionali, in attuazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18 del 2009. Anche nel Lazio, infatti, il sistema dei servizi è schiacciato sull’urgenza di fornire prestazioni (riparatorie) a casi gravi ed emergenti, ma non è più in grado di programmare e governare processi migliorativi di inclusione sociale e di benessere personale. Pensiamo quindi che sia ormai urgente un cambiamento strutturale delle politiche sociali e sanitarie, per evitare un’ulteriore deriva del nostro welfare, che ha bisogno di ritrovare una visione, una programmazione e un governo unitari».
«Pensiamo che un primo passo – proseguono dall’Opera Don Calabria – debba essere fatto verso un nuovo sistema dei servizi, che nel Lazio è molto complesso ed eccessivamente frammentato, a volte ridondante e inadeguato e che fatica a dialogare con i suoi vari componenti. Il perdurare infatti della separazione tra “sociale” (assistenza e prendersi cura) e “sanitario” (cura) continua a creare unicamente interventi inefficaci e sprechi di denaro pubblico. Sta qui, a nostro avviso, la “madre di tutti i disagi operativi” e di tutti gli esasperanti “giri dell’oca” che i cittadini sono costretti a compiere».
La concreta proposta che viene pertanto avanzata guarda al budget di salute, «modello di strumento operativo, che può rafforzare tale sistema unitario, rappresentando la sintesi delle risorse economiche, professionali e umane, necessarie per innescare un processo volto a ridare a una persona – attraverso un progetto terapeutico riabilitativo personalizzato -, un funzionamento sociale accettabile, alla cui produzione partecipino la persona stessa, la sua famiglia e la sua comunità. Ciò presuppone tuttavia un piano strategico regionale basato sull’integrazione sociosanitaria a sostegno di percorsi integrati, atti a soddisfare i bisogni che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale nelle seguenti quattro aree: apprendimento/espressività; formazione/lavoro; casa/habitat sociale; affettività/socialità».

Di tutto ciò, quindi, tratteranno il 14 giugno a Roma i vari relatori presenti, introdotti e coordinati da Fausto Giancaterina, consulente dell’Opera Don Calabria di Roma, e dopo i saluti di apertura, tra i quali quello di Pietro Barbieri, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Nella prima sessione, quindi, intitolata Il nostro welfare, interverranno Cristiano Gori dell’Università Cattolica e dell’Istituto per la Ricerca Sociale di Milano, direttore della testata «Welfare Oggi» (Un welfare delle prestazioni non ha futuro) e Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’Azienda USL di Modena (Un possibile cambiamento: il “budget di salute”).
Successivamente, nell’àmbito del tema Il progetto di vita personalizzato: le quattro aree di sviluppo, introdotto da Silvia Bracci, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Tutela della Salute Mentale e della Riabilitazione in Età Evolutiva dell’ASL Roma E, parteciperanno Fabio Bocci, docente associato di Didattica e Pedagogia Speciale all’Università Roma Tre (Area apprendimento/espressività), Carlo Lepri, psicologo, docente a contratto dell’Università di genova (Area formazione/lavoro), Antonio Maone, psichiatra del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Roma A (Area casa/habitat sociale) e Francesco Reposati, psicologo e psicoterapeuta, responsabile dell’Area Semiresidenziale dell’Opera Don Calabria di Roma (Area affettività/socialità). Infine, Ruggero Piperno, psichiatra e psicoterapeuta, direttore sanitario dell’Opera Don Calabria, si soffermerà sul tema “Art. 3”, velleità o opportunità nel fare riabilitazione.

Da segnalare in conclusione che anche il 14 giugno verrà presentato un libro di cui ci siamo già ampiamente occupati a suo tempo, vale a dire La sopravvivenza del ragno, ovvero del buon uso della libertà, curato da Ruggero Piperno ed edito dall’Opera Don Calabria, che racconta le storie di persone con disabilità accompagnate nel loro inserimento lavorativo, tramite il Progetto Articolo 3-Centro di mediazione per l’inserimento socio-lavorativo di persone con disabilità, iniziativa nata da una sinergia tra la stessa Opera Don Calabria e l’Unicoop Tirreno. (S.B.)

2014/04/11 11:21

Lo sport per l'integrazione I progetti per superare il razzismo

da Paese Sera

Tre idee per abbattere le barriere etniche e sociale nel seminario di oggi all'opera don Calabria di Roma. Masini (Pd): “Rilanciare un modello di società dal basso verso l’alto in cui ci sia spazio per tutti”.

Sport e integrazione. Una partita, un calcio ad un pallone per superare le barriere del razzismo. Ne sono convinte le associazioni che oggi hanno partecipato al seminario all’Opera don Calabria di Roma.

“Il gioco e il divertimento, al pari di altri quali la salute, l’istruzione, la libertà, sono diritti inalienabili per l'uomo, mezzi di realizzazione personale, ottimi rimedi per la salute, concorrono alla felicità”. Idea scritta nera su bianco nella Carta Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica dell’Unesco. Una pratica che non serve solo per il benessere fisico ma perché i suoi principi sono popolari, democratici, favoriscono uguaglianza e giustizia.

Massimo Vallati ricorda come abbia ribaltato “le regole in un mondo in cui va avanti solo il più forte”. Tutto grazie al progetto di ‘Calciosociale’, che fa scendere in campo minori in custodia giudiziaria, operatori sociali, psichiatri e alcolisti. “Da noi giocano tutti – spiega Vallati – e il più forte non può segnare più di tre gol a partita”. I rigori li batte il più debole e le squadre devono autoregolamentarsi, perché non esistono né arbitri né guardalinee”.

Il consigliere capitolino Paolo Masini punta sulla “rigenerazione umana, urbana e civica”. Per farlo, aggiunge, bisogna rivoluzionare i quartieri, “dove ci sono ormai più sale bingo di cinema e teatri, più compro oro che centri per l’aggregazione, più cemento selvaggio che verde”. Per questo si è impegnato in Calciosociale per “un’idea di società dal basso verso l’alto in cui ci fosse spazio per tutti”.

‘Sport Senza Frontiere’, racconta Sandro Palmieri, coinvolge bambini italiani e immigrati per farli giocare insieme a rugby, calcio, pentatlon, scherma. Un centinaio di ragazzi partecipa all’iniziativa in 25 strutture sportive. “L’inizio è stato difficile – spiega Palmieri – ora fanno parte di un gruppo”. Ed già partita la solidarietà verso chi non può permettersi l’abbigliamento sportivo a chi non può permetterselo”.

World Sport Service, invece, è la realtà sportiva primavallina che raccoglie giovani dal 1947. Lo spirito che la anima è ispirato alla solidarietà e, al di là delle scuole calcio classiche, punta a sviluppare discipline che favoriscano l’inserimento di disabili.

2014/04/11 11:21

Lo sport, potente veicolo di inclusione

da Superando.it

E ben lo dimostra un progetto come Calciosociale a Roma, iniziativa unica nel suo genere, che in un quartiere degradato alla periferia della Capitale mette insieme tante persone con diverse problematiche. I responsabili di esso incontreranno quelli di altre organizzazioni impegnate su obiettivi analoghi, nel corso di un seminario organizzato per il 7 maggio dall’Opera Don Calabria

 Sarà l’Opera Don Calabria di Roma a ospitare martedì 7 maggio il seminario Sport e Integrazione (Sala Conferenze, Via Giambattista Soria, 13, Primavalle, Roma, ore 10.30). «Si immagini – spiegano gli organizzatori dell’incontro – un quartiere degradato alla periferia di Roma [il quartiere Corviale, N.d.R.], un centro sportivo fatiscente; si pensi a tanta gente con grande voglia di integrazione, disabili mentali, minori in custodia giudiziaria, operatori sociali, psichiatri, alcolisti, madri, padri, bambini. Li si metta tutti insieme, con il sogno che dai tanti problemi si possa uscire, creando un destino comune e ridando ad ognuno speranza e fiducia: è Calciosociale, progetto unico nel suo genere, che sfrutta le meravigliose potenzialità di uno sport, e crea integrazione».

Durante l’incontro del 7 maggio, quindi, introdotti da Fratel Brunelli, direttore dell’Opera Don Calabria di Roma, il promotore di Calciosociale Paolo Masini e il presidente Massimo Vallati incontreranno le esperienze della polisportiva romana Aurelia World Sport Service – centro sportivo dilettantistico che si ispira ai principi della solidarietà, rappresentato da Mauro Morelli – e quelle di Sport Senza Frontiere, con Sandro Palmieri, associazione che raccoglie bambini italiani, immigrati, o di etnia Rom, permettendo loro di praticare gratuitamente rugby, calcio, pentathlon moderno, scherma, equitazione, nuoto.
«Lo sport, infatti – concludono dall’Opera Don Calabria – oltreché strumento che mira al benessere psicofisico della persona, è un potente veicolo di inclusione. I suoi princìpi sono popolari, democratici, favoriscono uguaglianza e giustizia. Tutte cose di cui, specie nella fase attuale della nostra società, c’è grande bisogno». (S.B.)

2014/04/11 11:21

Giovani e futuro come è difficile vivere senza

da Il Fatto Quotidiano

di Ruggero Piperno

Quel calcio dato per caso al sonaglino, e poi ridato più volte con sempre minore casualità, ci rende presto orgogliosi di sentirci artefici degli accadimenti.

Questo è rassicurante, ci permette di prevedere i fatti, di controllare in qualche modo il futuro. Poi cominciamo a capire che gli eventi possono accadere in tanti modi diversi, che la nostra mente, come quella degli altri, non è sempre facilmente prevedibile. Se l’imprevedibilità non è troppo dolorosa ci si può lanciare verso l’ignoto, possiamo giocare ad esplorare il mondo e a volare con la fantasia, il futuro sarà la nostra terra di conquista e di crescita. Ma a volte il futuro rappresenta una fuga dal presente, un modo per evitare la vita quando è troppo dolorosa.

A volte le cicatrici sono sufficientemente lievi, la difficoltà di goderci il presente appieno, qualcosa dall’interno ci spinge senza sosta ad immaginarci un altro luogo e un altro tempo, un viaggio continuo senza potersi mai godere il panorama. Ma per Adele le ferite sono profonde!

La incontro alla Mensa Sociale dell’Opera don Calabria, dove all’ora di pranzo si riuniscono un centinaio di persone per prendere un pasto gratuitamente. Il motto di questo posto è: “non solo cibo e non da soli”. Cinzia Cardamone, la responsabile, sembra perfettamente in grado di creare un buon clima e non dispensare meccanicamente vivande. E’ una osservatrice acuta, mi dice: “Vedi ci sono 16 tavoli, le prime 16 persone si mettono ognuna ad un tavolo diverso, solo dopo i tavoli si riempiono, le persone si mettono insieme solo quando non ci sono più tavoli liberi”.

Ma Adele ha voglia di parlare. Mi racconta una storia di una durezza inusitata che si trasmette da generazioni: violenza, alcool, droga, carcere, molti fratelli più o meno conosciuti, un compagno che lei malmena e dal quale è abbondantemente contraccambiata, frequenti corse al pronto soccorso senza mai fare una denuncia, perché nei rapporti si può essere dipendenti anche dalla violenza. Una storia come tante, simbolo di una umanità sofferente, ma il desiderio di legame, il bisogno di rapporto con l’altro, non è morto in questa donna un po’ malconcia.

Mi chiedo: che futuro potrà avere questa persona. Qual’é il senso di questo incontro, come lo posso chiamare: sostegno? sfogo? presenza? forse è l’unica forma di psicoterapia permessa in questi casi. Quel suffisso, “terapia” accanto a “psico” mi condiziona ad una idea di guarigione che contempla un obiettivo da raggiungere. Si dice spesso che il viaggio è più importante della meta ma è difficile essere compagni di viaggio senza porsi un obiettivo comune, magari la guarigione o soltanto stare meglio, in fondo si paga per raggiungere la meta non per il viaggio.

Con Adele mi devo accontentare del presente, di condividere un’esperienza umana, di essere con lei per il breve tratto di un incontro, che non è detto debba ripetersi. Il benessere è concesso nel qui ed ora, il futuro è relegato nel breve tempo di un incontro. La speranza è che qualcosa di me vada ad abitare questa donna e qualcosa di lei entri dentro di me e che questo scambio possa arricchire entrambi.

Penso ai giovani, alle mie figlie, alle nuove leve professionali che danno vita a quello che abbiamo chiamato Ambulatorio Sociale di Psicoterapia, tutte queste persone danno l’anima in quello che fanno, sono arrabbiate ma non si rassegnano, lottano in un contenitore sociale che stenta a dar loro delle opportunità. Nella mia generazione il futuro era scontato, forse era la strada per allontanarsi più rapidamente possibile dalla guerra, dal fascismo e dalla barbarie nazista. E oggi? E’ possibile vivere senza futuro? Adele sembra una persona che non ha mai avuto un presente. E allora penso: sia nella psicoterapia che nella vita, il futuro si costruisce sulla qualità del presente.

2014/04/11 11:21

Neuropsichiatria infantile, un diritto negato dalle liste d’attesa

da Il Fatto Quotidiano

di Ruggero Piperno

Un post di dati più eloquenti di tanti commenti. Francesca Piperno psicologa, Flavia Capozzi neuropsichiatra, Gabriel Levi direttore dell’istituto di Neuropsichiatria Infantile Università la “Sapienza”, parlano del loro servizio. “Il nostro Ambulatorio Generale riceve circa 1500 richieste l’anno. L’attesa è di 6/7 mesi, l’osservazione e l’indicazione al trattamento durano altri 2/3 mesi. Per quanto riguarda il trattamento, al nostro interno siamo in grado di assorbire un quarto dei casi ogni anno, con un tempo di attesa che va da 2 a 8 mesi, gli altri bambini devono fare richiesta in qualche altro centro pubblico, o privato convenzionato, dove il tempo di attesa è da 1 a 2 anni secondo la fascia di età. Per quanto riguarda i disturbi emotivi, cioè quelli dove non c’è un deficit cerebrale, per i quali vi è l’indicazione ad una psicoterapia, non ci sono dati plausibili, ma la situazione è probabilmente peggiore.”

Rispetto ai dati delle Asl, alla Giornata Europea della Logopedia (6/3/2013) il dr. Giuseppe Parrella ha fornito le cifre relative all’anno 2012 della Asl Rm E. Immagino che le condizioni delle altre Asl saranno simili. ”Circa 900 richieste in un anno, un’attesa non inferiore a 6 mesi dalla domanda alla prima valutazione, per arrivare al trattamento si dovrà aspettare da un minimo di 24 mesi ad oltre 36 mesi. Per cercare di ovviare a questo problema abbiamo utilizzato in Asl Rm E una Scheda Unica Aziendale per la Riabilitazione effettuata sia dai servizi pubblici che dal privato convenzionato, che permette di valutare la gravità, definire clinicamente la priorità, programmare gli interventi e ridurre i tempi di attesa per chi ha più bisogno”.

La conferma di una condizione tragica arriva da Carla Patrizi, direttrice del “Centro Tangram” un centro privato convenzionato fra i più quotati:” I tempi d’attesa sono molto lunghi, attualmente sono di circa 3 anni, possono essere ridotti per situazioni d’urgenza. Ovviamente all’inizio del trattamento siamo costretti a rifare la valutazione diagnostica. Questa purtroppo è la situazione che si è generata dopo la riduzione nel 2007 del budget per i trattamenti accreditati, che ha praticamente bloccato la lista d’attesa.” Quindi l’ansia di un genitore, che scopre oggi che il figlio ha qualcosa che non va, verrà tamponata in un tempo non inferiore ai tre anni, prima che possa iniziare la terapia. Tre anni di attesa per poter ricevere una cura sono molti per tutti, ma per un bambino, dove il processo di accrescimento è molto rapido, significa che il disturbo diviene meno trattabile e l’intervento meno efficace. Chi può cercherà una risposta privata, chi non può si sentirà discriminato. Questi sono i dati ufficiali di un diritto alla salute negato!

2014/04/11 11:21
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